La prima volta che ho visto una donna allattare avevo 8 anni. Avevamo ospiti a cena e lei aveva un bimbo piccolo. Dopo mangiato tutti andarono in salotto per lasciarla allattare in tranquillità. Io rimasi a guardare: ero vinta dall'imbarazzo, era qualcosa di così intimo e per me, allora, sconosciuto. Restai con lei con il solo desiderio di andare via.
Poi ho visto mia sorella che allattava i suoi figli e qualche amica. Sono cresciuta ma quell'imbarazzo è rimasto: mi frena l'idea di invadere un momento di condivisione tra mamma e figlio.
Poi ho iniziato a studiare e a leggere materiale sull'allattamento per cercare di capirlo meglio e di capirne fino in fondo le implicazioni psicologiche nella diade.
Nel counseling (come nella vita), un passaggio fondamentale nella crescita della persona alla scoperta delle proprie risorse, è la sperimentazione di sé. E così mi sto sperimentando nel ruolo di mamma che allatta.
Fino ad ora, per me allattare significa: tempo, pazienza e spazio...e un buon rimedio per le ragadi!
Il tempo: con l'allattamento non si possono seguire i tempi a cui eravamo abituati. Il tempo di una doccia passa dai 15/20 minuti ai 2 minuti netti (comprensivi di shampoo). Il tempo per uscire, anche solo per fare la spesa, passa dai 5/20 minuti (la differenza la fa il tipo di uscita) all'ora: preparo lei, preparo me stessa (chissà come mai lei è più in bolla di me), preparo le cose per lei (orami sono già pronte ma una controllata va data), preparo le cose per me che possono servirmi per lei (fascia, coppette per il latte, una maglia di riserva che non si sa mai), preparo l'essenziale per me. Ciucciatina dell'ultimo minuto (altra mezz'ora di ritardo), la rivesto, la rimetto nell'ovetto. Prendo armi e bagagli e mia figlia, mi arrampico su per le scale, monto l'ovetto nel passeggino e, finalmente, si parte. Scorreggina!
Il tempo dell'allattamento stesso. Ore in cui non riesco ad alzarmi dal divano e da lì faccio tutto (o quasi). Ore di assenza di cose da fare che non siano guardare lei, farle fare il ruttino, cambiarla, allattarla, consolarla, fare selfie a gogo. Il tempo di dormire: dalle 9/10 ore di sonno (almeno nel week end), al minuto e sono già in piena fase REM, 4/5 ore per notte spezzettate tra una poppata e l'altra.
La pazienza di non gestire il proprio tempo, di adeguarsi a quello di qualcun altro. La pazienza e la sopportazione di ragadi e montate irregolari, guardare i film a puntate, l'attesa di un rutto, di sentirla respirare.
Lo spazio. Ecco, più di tutto per me, allattamento è spazio. Spazio esterno. Spazio interno. Così come le ho fatto spazio e si è fatta spazio dentro di me durante i nove mesi, così è necessario creare questi spazi dopo.
Occorre uno spazio esterno, ovvero creare una situazione in cui possa sentirsi serena per poter ciucciare ed abbandonarsi. Un posto in cui possa stare bene. A nessuno piace mangiare un piatto di spaghetti in un gabinetto o in una stanza buia. Uno spazio nel lettone, qualora necessario, uno spazio tra mamma e papà. Certo, uno spazio che non diventi voragine o barriera tra di loro.
Occorre uno spazio interno. E non è facile. Occorre creare dentro di sè uno spazio da dedicare a lei, uno spazio che sottraggo a me. Quanto spazio sono disposta a sottrarre a me stessa? alle mie esigenze? Ecco uno dei primi nodi della maternità: l'equilibrio di tempo e spazio tra ciò di cui lei ha bisogno e ciò di cui io ho bisogno. Dove e quando finisco io ed inizia lei senza che nessuna sparisca?

Nessun commento:
Posta un commento